AMARSI SENZA PERDERSI
Un bimbo di pochi mesi è in naturale simbiosi con la mamma, è un tutt’uno. Ma anche noi adulti possiamo sentirci pienamente uniti agli altri: l’innamorata con l’innamorato, il cittadino con la sua comunità, la persona con il gruppo, con i tifosi della propria squadra, con il partito, ecc. Ci fondiamo in un “corpo” unico e possiamo provare e far provare emozioni e sentimenti positivi, realizzare belle cose insieme e prenderci cura del bene dell’altro e della reciproca realizzazione. Questo momento della relazione si dice che è benefico e sano. E, passato, il momento di fusione, segue il cosiddetto “ritiro”. Cioè l’adulto riconquista la sua unicità e ritrova la sua identità. E solo così riesce a completare e vivere pienamente quel momento e dare spazio ad un nuovo “contatto”, un nuovo momento di fusione completa e benefica. Si tratta di momenti della vita e dell’amore – in senso lato – in cui, in qualche modo, si rinuncia «volontariamente e provvisoriamente» a parte della propria libertà individuale. Le orchestre, gli sport di squadra, l’empatia possono essere visti come manifestazioni di questa fusione che aiuta gli esseri umani ad adattarsi al proprio mondo e stare in relazione.
Ma se questo “momento” non è più tale, se si vive indefinitamente fusi con gli altri annullando continuamente la propria identità, i propri valori, i propri bisogni, ecc. allora col tempo iniziamo a soffrire, a provare sensazioni di insoddisfazione o, addirittura, malessere che ci portano a non far star bene né noi né chi abbiamo vicino. «Devo sentire assolutamente il mio compagno altrimenti muoio», «A me e il mio compagno non piacciono i viaggi», «Noi ci diciamo tutto», «I suoi amici sono i miei amici», «Quel che mio è suo», «Senza di lei, io non esisto», «Non mi lasciare… Non mi abbandonare… Tienimi sempre con te…Non vivrei più, non sarei niente, nulla avrebbe più senso».
Rischiamo così di non autorealizzarci, di non distinguere i nostri bisogni. E di non offrire più noi stessi, veri, autentici e creativi, a coloro che amiamo. Iniziamo a compiacere sempre e soltanto. Usiamo sempre e solo il pronome «noi». Perdiamo la nostra individualità, identità e libertà. Ecco perché dopo un po’, consciamente o inconsciamente, iniziamo a soffrire e non amare più autenticamente.
Se ci teniamo alla nostra coppia amorosa (ma anche al nostro gruppo, alla nostra famiglia, alla nostra comunità, …) dobbiamo imparare a riconoscere certi segnali, nel linguaggio, nei pensieri e nei gesti. Tornare a chiederci «cosa sento ora?», «cosa voglio fare davvero ora?», «cos’è quest’emozione che sento», «di cosa ho davvero bisogno?», … Dobbiamo differenziarci dall’altro per poter tornarci insieme di nuovo consapevoli, autentici e liberi. Amarci senza perderci.
«poesia della Gestalt», di Fritz Perls:
Io sono la mia vita e tu la tua
Io non sono in questo mondo per rispondere alle tue aspettative
e tu non sei in questo mondo per rispondere alle mie
Tu sei tu e io sono io
e se per caso ci incontriamo allora è splendido
altrimenti non ci possiamo fare niente