La Comunicazione Non Violenta. Il metodo di Marshall B. Rosenberg per… parlare pace.

Le parole possono fare la differenza. Possono essere il nutrimento di una relazione o possono annientarla. Possono rendere leggero il clima sul lavoro o possono appesantire l’aria e il nostro umore. Possono rendere fiero e sereno un bambino o renderlo insicuro e triste. L’uso consapevole delle parole può sostenere noi e le persone che ci stanno intorno, può rendere la nostra presenza amichevole e rassicurante, garantire delle relazioni gratificanti e costruttive. Se usate con disattenzione e reattività, senza consapevolezza, insomma, possono diventare anche pericolose, stante il forte impatto che hanno sia in chi le ascolta che in chi le pronuncia. Influenzano i nostri comportamenti, le nostre convinzioni, le nostre emozioni.

Da un lato, dunque, possono diventare un volano di crescita e solidarietà, dall’altro, come un circolo vizioso, possono creare ostilità, generare conflitti, rovinare rapporti. E trasformare, all’estremo, una violenza verbale in violenza fisica. La forza delle parole è dimostrata, emblematicamente e pragmaticamente, dalla vita e i successi di M. K. Gandhi, il quale ha sempre sottolineato con enfasi l’importanza della non violenza nella comunicazione. E a meno che non “diventiamo noi stessi il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo”, come dice il mahatma, nessun cambiamento avverrà mai se aspettiamo che siano gli altri a cambiare per primi, anche le stesse parole.

<<Sei un egoista>>, <<Non ci si può fidare di te>>, <<Torna subito al tuo posto! Dove credi di lavorare? In un posto per fannulloni? Se non lo fai vedrai cosa ti succede!!>>, <<Sei tale e quale a tua madre>>, <<Ma chi ti credi di essere?>>, <<Fai come ti dico io e vedrai che non sbagli>>, <<Sei un somaro, ma che figura mi fai fare con la maestra?!>>,

… Frasi come queste, apparentemente banali e ordinarie, specie se accompagnate ad esempio da un tono sprezzante o sarcastico oppure da sguardi torvi e smorfie scostanti, possono diventare l’amaro preludio di una relazione che si deteriora e il presupposto di emozioni di rabbia, odio e dolore, di solitudine e disistima. Ma questo tipo di linguaggio, basato sulla critica, sui sensi di colpa, sulle punizioni, sulla vergogna, è così radicato in noi che, a volte, facciamo fatica anche ad individuarlo.

Cos’è il metodo della Comunicazione Non violenta?

Voglio presentarvi, molto sinteticamente, un metodo per aumentare la consapevolezza del nostro linguaggio ed evitare o risolvere situazioni conflittuali che possiamo avere con persone i cui comportamenti possono influenzare il nostro benessere. Tale processo linguistico, chiamato “Comunicazione Non violenta” e basato su abilità di linguaggio e di comunicazione, è stato promosso e divulgato dal Professor Marshall B. Rosenberg, psicologo americano da poco scomparso. Lui, le sue opere divulgative e il suo modello ci possono guidare nel ripensare il modo in cui ci esprimiamo ed ascoltiamo gli altri, evitando reazioni automatiche e abituali ma esprimendo noi stessi con onestà e chiarezza, prestando agli altri un’attenzione rispettosa e empatica. Il modello che vi presento è applicabile in: diverbi e conflitti di diversa natura, relazioni personali, famiglia, scuola, organizzazioni e istituzioni, terapie e consulenze, relazioni diplomatiche e commerciali,…

I 4 passi della Comunicazione Non violenta.

  1. Come prima cosa, occorre osservare veramente quel che sta succedendo in una situazione, senza esprimere giudizi e diagnosi. Ad esempio, anziché dire “A quel telefonino non rispondi mai, ma che te l’ho comprato a fare?”, diremo “Ti ho chiamata all’una e alle due, risultava libero, ma non sono riuscito a contattarti”. Senza valutazioni, facendo una foto di quel comportamento altrui che a noi piace o non piace.
  2. Come secondo passo, affermiamo in che modo ci sentiamo quando osserviamo quella azione: siamo spaventati, tristi, arrabbiati, divertiti, ecc. Al posto di dire <<Mi deludi>> diciamo <<Mi sento triste>>.
  3. In terzo luogo, diciamo quali nostri bisogni sono collegati ai sentimenti che abbiamo identificato. Ad esempio diciamo <<Perché ho bisogno di sentirmi rassicurato che il tuo viaggio sia andato bene e tu sei a destinazione>>.
  4. Il quarto e ultimo passo (in realtà di quella che è la prima fase del modello di Rosenberg) è la richiesta: <<Ti va di telefonarmi appena arrivi in hotel oggi?>>. Questo fa riferimento a ciò che vogliamo dall’altra persona che potrebbe arricchire la nostra vita o rendercela migliore.

Se noi e gli altri manteniamo l’attenzione centrata su questi 4 passi stabiliamo un flusso di comunicazione che riesce a superare gli ostacoli perché parte dal presupposto che tutti, sia noi che gli altri, abbiamo dei bisogni e che questi, all’essenza, sono i medesimi. Se capisci i tuoi bisogni, capisci che sono gli stessi degli altri.

Allora il conflitto e il giudizio non hanno più senso.

Un abbraccio… di pace

Pierluigi


P.S. Se ti interessa approfondire, ecco la bibliografia che ti propongo:

Berckhan B., (2014), Piccolo manuale per imparare a fare e ricevere critiche, Milano, Feltrinelli

D’Asembourg T., (2006), Più felici di così…si può. Come salvarsi dalle trappole antifelicità, Reggio Emilia, Esserci

Infantino M.G., (2007), La comunicazione non violenta, Milano, Xenia

Roberti A., (2015), Le parole per migliorare la vita di chi ami…e la tua, Milano, Mondadori

Rosenberg M.B., (2003), Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta, Reggio Emilia, Esserci

Rosenberg M.B., (2010), La comunicazione non violenta – con CD, Reggio Emilia, Esserci

un suo video su YouTube

Scardovelli M., (2008), Io-Governo, Genova, Liberodiscrivere Edizioni

Van Stappen A., (2011), Quaderno d’esercizi per comunicare senza conflitti con la cnv, Milano, Antonio Vallardi Editore

 

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